21 giugno 1949 - Con gli ultimi quattro testi d’accusa escussi, l’istruttoria orale del processo D'Onofrio - Reduci si è chiusa per riprendere fra quindici giorni quando comincerà il torneo oratorio degli avvocati. Fino a quel giorno riposo.
Il serg. Corrado Cicognani è stato il primo ad essere ascoltato. Egli ha esordito dicendo di non essere venuto per difendere la Russia ma gli italiani. E infatti ha mantenuto fede alla premessa in quanto la sua deposizione è stata tutto un elogio al comportamento dei fuorusciti e all'interessamento dimostrato verso i prigionieri italiani. E per non essere disturbato ha voluto gentilmente pregare il Presidente di non interromperlo perché aveva cose molto importanti da dire: cose vissute.
La signora Torre fu «una vera madre» della quale il teste ha enumerato i meriti e le virtù eccezionali che andavano dalle benefiche parole di esortazione alle più vive preoccupazioni per le condizioni di salute degli internati; dall’interessamento presso le autorità sovietiche per un miglioramento del vitto alla ottenuta sostituzione dei rumeni nel servizio sanitario con medici italiani.
E tutti gli altri emigrati ebbero più o meno gli stessi meriti.
Presidente: — Ci parli della scuola di antifascismo.
Cicognani: — Se lei mi lascia parlare vedrà che piano piano dirò tutto. Molti frequentarono i corsi di antifascismo perché si diceva che il vitto là era migliore. Io ci andai per curiosità di sapere che cosa vi si insegnasse e così fui assegnato alla scuola numero 165 dove conobbi come istruttori Rizzoli e Robotti. Ero molto contento quando loro parlavano del Risorgimento Italiano, di Mazzini (io sono repubblicano, iscritto al partito) e di Garibaldi. Ma non ne volevo sapere di sentire parlare di Marx perché era un tedesco. Però anche se Marx non mi piaceva gli istruttori mi volevano bene lo stesso. Alla fine del corso c'era da prestare un giuramento di fedeltà al popolo italiano ma non era affatto obbligatorio. Chi non voleva, non giurava. Dopo il corso tornai in Italia.
Dopo una breve deposizione del soldato Fiorenzo Lancellotti, il quale ha dichiarato di non poter dire che bene dei fuorusciti italiani in genere e di D'Onofrio in particolare, perché sollevava il morale dei prigionieri, è salito sulla pedana il sottotenente Francesco Serio. Egli ho ammesso che le razioni di viveri a Krinovaia erano assolutamente insufficienti ma, ha aggiunto, che ciò dipendeva dal gran numero dei prigionieri presenti, per cui malgrado le cucine fossero in funzione giorno e notte ininterrottamente, non riuscivano a soddisfare le esigenze della enorme massa degli internati. Le preoccupazioni alimentari però finirono con il trasferimento ad Oranki dove si mangiava discretamente. Del D'Onofrio ha detto che egli non propagandò mai idee comuniste ma soltanto antifasciste.
Il teste ha poi ricordato che prima di rimpatriare, ad Odessa, alcuni prigionieri presero l'iniziativa di scrivere una lettera di ringraziamento al popolo sovietico per il trattamento usato ai prigionieri e soltanto pochi ufficiali si rifiutarono di sottoscrivere.
A questo punto l'imputato Emett si è alzato e, chiesta la parola al Tribunale, ha voluto chiarire che egli fu uno di quelli che si rifiutarono di firmare la dichiarazione di ringraziamento.
Emett: — Ritenevo che cosi facendo mi sarei acquistato il disprezzo di tutte le madri italiane. Per questo rifiuto, io e numerosi altri, fummo trattenuti ancora per qualche tempo in Russia.
Il signor Serio quando eravamo ad Oranki mi vendette, per tre razioni di pane, una gavetta tedesca. Per poco non finii in galera perché il Serio la gavetta l’aveva rubata ad un prigioniero tedesco.
Serio (urlando, rosso in volto): — È falso, lo in quel periodo ero nel lazzaretto.
Ultimo teste, il ten. Nando Bellotti, il quale ha narrato delle epidemie che scoppiarono nei campi. Una infermiera russa, che aveva il fratello morto sul fronte italiano, donò il proprio sangue per la vita di un nostro prigioniero. Di D'Onofrio ha ricordato l'opera benefica svolta a favore dei prigionieri ed ha aggiunto che il ten. Ioli si meravigliò moltissimo quando seppe che era un operaio e affermò che se tutti i fuorusciti italiani fossero stati come il D'Onofrio, i prigionieri in Russia sarebbero stati molto meglio. Quanto alla tolleranza religiosa dei sovietici il teste ha affermato che era tale che le autorità russe consentirono in occasione della Pasqua del 1943 che il cappellano Aleggiani celebrasse una messa. I russi stessi procurarono gli arredi sacri e le ostie per la comunione dei prigionieri.
Avv. Mastino Del Rio: — Il cappellano Aleggiani ha fatto ritorno in Patria?
Bellotti: — Non mi risulta.
Presidente: — Il teste ebbe un incidente al ritorno in Italia?
Bellotti: — Sì. Io ed altri colleghi fummo aggrediti alla frontiera italiana da alcuni ufficiali i quali volevano che sottoscrivessimo una dichiarazione ma che ci rifiutammo di firmare perché conteneva tutte menzogne. Ecco perché fummo aggrediti e bastonati.
Avv. Taddei: — Quanti furono coloro che il teste definisce «aggressori»?
Bellotti: — Una ventina.
Avv. Taddei: — E gli aggrediti?...
Bellotti: — Più di cinquecento...
Con la risposta del teste Bellotti, che ha suscitato uno scoppio fragoroso di ilarità, si è concluso l'esame testimoniale e l'udienza è stata rinviata al giorno 7 luglio per ragioni di procedura.