10 giugno 1949. - La richiesta del Tribunale al Ministero della Difesa è stata soddisfatta e oggi si sono saputi, finalmente, i nomi degli ufficiali italiani accusati dalla Russia di crimini di guerra.
Dei dodici indicati, dieci sono stati identificati e precisamente: i gen. Roberto Lerici e Paolo Torriassi, il ten. col. Raffaello Marconi, il ten. col. medico Bernardo Giannetti, il magg. Giovanni Biasotti, i cap. C.C. Dante Jovino e Mariano Piazza, il cap. Luigi Groppelli, il ten. Renato Barile, il ten. col. Romolo Romagnoli. Di questi dieci ufficiali tre sono deceduti e precisamente: il gen. Torriassi, i ten. col. Marconi e Romagnoli. Uno soltanto è trattenuto ancora in Russia: il cap. Dante Jovino. I due ufficiali non identificati sono un certo Plass, comandante la regione di Pisarevo e Franzi Piliz, comandante la guarnigione di Kantemirowka.
E questo è stato uno dei due argomenti più importanti della udienza. L’altro è costituito da un caratteristico ordine del giorno del maresciallo Stalin, il quale, evidentemente impressionato dalla alta percentuale di mortalità registrata nei campi di concentramento, avrebbe stabilito: proibito morire!
Per il resto poche novità nelle deposizioni dei testi escussi nel corso dell’udienza; com’era prevedibile.
I1 prof. Aldo Sandulli, ordinario di diritto amministrativo nell'Università di Trieste, il quale ha fatto la rivelazione sull'ordine di Stalin, ha confermato che nel campo di Krinovaia, dove fu internato subito dopo la cattura, la percentuale della mortalità fu spaventosa: di 400 ufficiali solo 270 sopravvissero. Il teste ha confermato ancora i casi di cannibalismo, citati da quanti lo hanno preceduto sulla pedana, aggiungendo che durante le marce di trasferimento ai prigionieri non veniva somministrato cibo di nessun genere e che nel campo di Krinovaia sola razione distribuita era una zuppa al giorno consistente in acqua calda e ossa.
P. M.: — Quali erano le condizioni fisiche dei soldati al momento della cattura?
Sandulli: — Non buone, ma ancora efficienti.
Trasferito ad Oranki venni ricoverato al lazzaretto, dove unico mezzo di cura era un termometro per tutti gli ammalati, per misurare la febbre.
Ai primi di maggio 1943 arrivò un generale sovietico il quale, con grande solennità annunciò a tutti i prigionieri che per «ordine» (il teste riferisce con precisione la corrispondente parola in russo) delle autorità superiori «nessun prigioniero doveva più morire».
Avv. Taddei: —... E coloro che fossero morti sarebbero stati dei sabotatori...
Sandulli: — Proprio così, purtroppo. Malgrado l'ordine però i prigionieri continuarono naturalmente a morire. Sopraggiunsero rifornimenti americani e le condizioni dei prigionieri andarono leggermente migliorando con una più abbondante distribuzione di viveri, ma, come ho detto, questo non eliminò la mortalità. Io fui uno dei pochi che ebbi la fortuna di salvarmi e fui così spedito al convalescenziario di Skit dove mi accorsi che per essere un luogo di cura, il trattamento non era affatto migliore, se non addirittura peggiore di quello usatoci negli altri campi. Fra l’altro eravamo letteralmente mangiati dagli insetti, tanto che il poter essere inviati al lavoro era considerato come una liberazione.
D'Onofrio arrivò poco prima del 25 luglio 1943. Radunò tutti i prigionieri italiani e si presentò con queste precise parole: «Signori ufficiali italiani, permettetemi di fare la vostra conoscenza. Sono Edoardo D'Onofrio, di professione cospiratore», e, dopo questo esordio, illustrò ampiamente la situazione italiana. Tornò dopo un paio di mesi per far sottoscrivere il noto messaggio al popolo italiano. Vi furono notevoli pressioni di carattere morale perché il messaggio venisse firmato.
Fui in seguito trasferito al campo 27/2 e qui interrogato da ufficiali sovietici che mi trattarono con una delicatezza che era del tutto sconosciuta ai fuorusciti italiani. Fu in questo campo che vidi il sottotenente Melchionda (il quale depose alcuni giorni or sono come teste a favore del querelante e a carico degli imputati) e sembra svolgesse attività delatoria nei confronti dei colleghi. Infatti il cappellano Don Bertoldi trovò nello zaino di lui un taccuino per appunti nel quale erano scritte frasi come queste: «Il tenente Tizio non ha applaudito alla conferenza su Garibaldi» (forse il Garibaldi del Fronte Democratico Popolare?); «il sotto-tenente Caio ha dichiarato che l'Italia non può fare a meno delle sue colonie» (cioè era un imperialista).
Dal fuoruscito Rizzoli che mi interrogava nel campo di Susdal, ebbi questo avvertimento che mi lasciò molto turbato: «Il ritorno in Italia bisogna meritarselo! Si ricordi che i nemici del popolo pagheranno il loro fio!».
Avv. Taddei: — È vero che, come ha asserito il D'Onofrio, alcuni ufficiali ostentavano nei campi camicie nere e fez fascisti?
Sandulli: — Ciò era impossibile perché la camicia nera non la indossava neppure la milizia, quando era in linea e quindi non poteva essere ostentata nei campi. È vero piuttosto che i russi avevano distribuito ai prigionieri le giacche nere tolte alle SS tedesche.
Desiderio Ebene, tenente degli alpini, passò il periodo della prigionia nei campi di Tamboff, Oranki e Skit dove conobbe il D'Onofrio il quale tenne due conferenze. Al termine di esse propose il famoso messaggio cui, come è noto, si oppose, a nome di tutti, il cap. Magnani. Per l'ostilità dimostrata nei confronti del D'Onofrio, ha confermato il teste, il capitano venne trasferito al campo di punizione di Elabuga dove gli venne prospettata la possibilità di migliorare notevolmente la propria posizione. L'ufficiale sovietico che lo interrogava, gli sottopose, infatti, una dichiarazione con la quale si impegnava di fornire ai russi informazioni dettagliate sul comportamento dei compagni di prigionia. Il cap. Magnani oppose alla proposta un categorico rifiuto aggiungendo che quello non era un mestiere per lui e che avrebbe piuttosto preferito essere fucilato immediatamente. L’ufficiale russo non insistette.
Ultima deposizione della giornata, quella del tenente degli alpini Carlo Girometta il quale conferma tutti i punti esposti dai testi che lo hanno preceduto, per quanto riguarda gli interrogatori subiti e le condizioni di vita nei vari campi. Ma anche lui ha voluto portare qualche cosa di nuovo da aggiungere al materiale di giudizio. S'è diffuso, perciò, a parlare della situazione viveri nel campo di Oranki, nella sua qualità di addetto a quella cucina nello stesso periodo in cui il Fiammenghi se ne interessava direttamente. Ed ecco in sostanza la situazione: una zuppa di venti grammi di miglio, pane nero, venti grammi di zucchero e venticinque di burro, al mattino; una zuppa dì miglio, orzo, avena e pane nero alla sera.
Girometta: — Il pane era tale però che, sono certo, nessuno di quanti si trovano oggi in quest'aula ne avrebbe mangiato neppure un boccone.
Il Girometta ha poi detto qualche cosa anche della scuola di antifascismo che si trovò a frequentare di autorità. Materie di insegnamento: Storia del leninismo, Storia della Russia, Principi di marxismo e Storia d'Italia.
Avv. Taddei: — Si è voluto far credere qui, che la scuola fosse una specie di seminario, che accoglieva anche i cattolici. Cosa risulta a lei?
Girometta: — Veramente non tutti i frequentatori della scuola erano marxisti, ma è anche vero che manifestare idee non conformiste era tutt'altro che facile e poteva essere anzi pericoloso. L'indirizzo della scuola era perfettamente comunista. Non era proprio facile, né tanto meno conveniente, esprimere idee diverse. Un emigrato italiano vestito con la divisa russa, al quale ebbi a chiedere aiuto durante la permanenza a Krinovaia mi rispose con tono di sufficienza: «Ma cosa volete!... È già tanto che non vi abbiamo fucilato!...».