9 luglio 1949. - L'avv. Paone non ha mantenuto la promessa.
Aveva detto che per terminare la propria arringa aveva bisogno ancora di un paio di ore e invece la voce tonante del patrono del D'Onofrio è risuonata nell’aula per altre quattro ore, cioè tutta l'udienza.
L'oratore ha esordito rievocando i fatti che seguirono la caduta del fascismo e si è soffermato ad illustrare la figura del querelante «portatore di una idea politica per la quale aveva combattuto tutta la vita», D'Onofrio non era al servizio della Polizia di Stato sovietica ma soltanto al servizio della propria coscienza e gli imputati non sono riusciti a provare le loro accuse. Ergo è chiara la loro malvagità, come è chiaro il grave oltraggio da loro usato contro il sen. D’Onofrio. Qui si tratta di diffamazione generica e di diffamazione specifica e giacché il magg. Orloff è ancora vivo sarebbe stato facile poter accertare bene i fatti. Con tutto ciò la privata accusa ha pensato bene di non farlo venire come teste dalla Russia.
Mentre si scaglia contro i cinque reduci che siedono sul banco degli imputati, l'avvocato sventola una copia del numero unico incriminato e grida al dolo per le asserzioni contenute in quell'opuscolo.
Preparatissimo si è dimostrato l'avv. Paone su tutta la storia della campagna napoleonica in Russia e di quella famosa ritirata. Egli ne ha fatto la pietra di paragone indispensabile alla dimostrazione del fatto che, se tante migliaia di morti si ebbero in Russia da parte italiana, ciò non va imputato alle autorità sovietiche.
Avv. Paone: — Il precedente napoleonico non aveva insegnato nulla al dittatore teutonico e al suo alleato fascista? La morte degli 80 mila soldati dell’ARMIR grava sulla coscienza di quelli che non si preoccuparono di inviare in terra sovietica dei soldati italiani ineducati e analfabeti, i quali giunsero al punto di definire con disprezzo i russi degli indigeni, come se fossero dei negri africani. Questo è troppo!
L’avv. Paone ha finalmente cominciato a parlare dell’attività di D'Onofrio nei campi di concentramento:
Avv. Paone: — Si è parlato di verbalizzazione degli interrogatori cui venivano sottoposti i prigionieri italiani. Ma quella non era altro che curiosità e quelli che gli imputati chiamavano verbali non erano che appunti per poter scrivere poi degli articoli sul settimanale «L'Alba». I russi sono detti «tremendi scocciatori», sono più curiosi delle femmine ma, signori, era pura curiosità e non lunghi verbali di estenuanti interrogatori.
Nessuno ha poi saputo spiegare con esattezza che Elabuga fosse un campo di punizione, dove in seguito agli interrogatori di D'Onofrio, sarebbero stati mandati il cap. Magnani, il ten. Ioli ed altri ufficiali italiani. Né sono state provate le ragioni per cui quegli ufficiali furono inviati ad Elabuga. Nei campi di prigionia si godeva di tanta libertà che spesso si accendevano dispute fra fascisti e antifascisti. Ma che c’entra D'Onofrio nelle beghe fra prigionieri? E che colpa possono avere D'Onofrio o gli altri emigrati italiani se i Russi qualche volta punivano i prigionieri più turbolenti?
Avv. Paone: — Comunque gli atti del processo dimostrano abbondantemente che i russi hanno rispettato i prigionieri più di quanto non li abbiano rispettati gli altri Paesi. Nei campi di concentramento inglesi e americani esistevano speciali recinti per i criminali fascisti «perseguitati nel fisico e nel morale». Avete mai sentito dire cose del genere dei campi di Russia?
L’avv. Paone ha chiesto scusa ai giudici per la lunghezza della arringa, ma si è giustificato dicendo che la perorazione «non viene dal cervello ma dal cuore» ed ha concluso:
Avv. Paone: — Noi siamo qui per chiedere la condanna dei libellisti, dei diffamatori. Il fango che essi hanno lanciato contro D'Onofrio non ha potuto e non potrà offuscare l'intangibile sua veste morale. Voi, imputati, avete voluto colpire D'Onofrio che era il capo della nostra lotta in questa Roma, in mezzo al popolo nostro. E pertanto io chiedo la vostra condanna.