8 luglio 1949. - Certamente il sen. D'Onofrio non s'aspettava che proprio uno dei testi indotti dalla Parte Civile gli giuocasse un così brutto tiro. Eppure è stato così. Il ten. col. Guido Zingales, uno dei reduci che avrebbe dovuto presentarsi al tribunale a sostegno delle affermazioni del querelante, non solo non si è mai presentato a deporre, ma ora si è saputo che ha rilasciato una dichiarazione oltremodo interessante che suona tutt’altro che gradita alle orecchie del signor D'Onofrio.
Nella dichiarazione, il tenente colonnello, dopo aver ricordato che, prigioniero nel campo di Oranki, vide arrivare il D'Onofrio accompagnato da un maggiore russo che dicevano essere della N.K.V.D. e che si faceva chiamare Orloff, racconta:
Zingales: — Fui uno dei primi ad essere interrogato. Il colloquio, come veniva chiamato, durò circa una mezz’ora. Mi fu chiesto, fra l'altro, quali erano le mie idee politiche e che cosa ne pensavo della guerra. Non mi furono fatte minacce, ma non posso escludere che ne fossero fatte agli altri, e ciò per diversi motivi.
Le minacce erano purtroppo all'ordine del giorno, sia da parte dei russi sia da parte dei commissari politici. Ho assistito a minacce fatte in pubblico dal commissario Fiammenghi durante le sue conferenze ai ten. Resinato e Ioli, tuttora detenuti in Russia. In seguito ne vennero fatte collettivamente a tutti gli ufficiali, specie ad opera di certi Robotti e Ossola.
Particolare sensazione causarono nel campo gli interrogatori dei ten. Reginato e Ioli per la loro durata e per la loro frequenza.
Il cap. Magnani e il ten. Ioli furono allontanati dal campo di Oranki (dove il Magnani era frattanto rientrato) subito dopo la partenza di D'Onofrio: era opinione generale dei prigionieri che tale allontanamento fosse opera del D'Onofrio.
Zingales: — Cito un solo caso per tutti: l'uccisione di un tenente (di cui sventuratamente non ricordo il nome) ad opera di una sentinella russa nel 1943 (e cioè quando già da un po’ ci eravamo sistemati nei campi di concentramento). Il tenente, tornando dal lavoro, nonostante l'ordine della sentinella, si era chinato, spinto dalla fame, a raccogliere una piantina di cicoria che cresceva sull'orlo del sentiero!
Devo infine dire, per quanto riguarda i metodi russi di propaganda che essi non rifuggivano neppure dal falso. Cito un fatto personale: al mio rientro in Patria ho appreso di aver parlato più volte alla radio, cosa che mi sono sempre guardato dal fare e che, del resto, non mi venne neanche proposta. Mi rifiutai anche di inviare i miei saluti alla famiglia quando appositi incaricati nel Natale 1945 vennero per fare incidere dai prigionieri dei dischi di saluti che avrebbero dovuto essere trasmessi da Radio Mosca.
Alla ripresa del processo, malgrado gli undici giorni di sospensione, l'interesse non è minimamente attenuato, anzi si potrebbe dire accresciuto con l'approssimarsi della sentenza del Tribunale. Lo spazio riservato al pubblico è letteralmente gremito di reduci, di donne, forse madri, forse spose di chi non è più tornato. Su molte persone, fra il pubblico, si vedono i nastrini azzurri delle decorazioni.
Il torneo oratorio che conclude l'importante processo è cominciato alle 9,30 con una lunghissima arringa del primo avvocato di Parte Civile, l'avv. Mario Paone, il quale ha parlato, con grande enfasi e calore, per ben quattro ore (e ne avrà ancora per un paio d'ore dell’udienza di domani) sottolineando le proprie affermazioni con violenti pugni sul tavolo, rosso in viso e sudato per la fatica oratoria.
Avv. Paone: — Intorno a questa causa è fiorita tutta una letteratura che impegna la civiltà occidentale contro quella orientale, una letteratura che impegna i valori dello spirito contro quelli della materia. Ma trovo molto strano che molti giornali abbiano pubblicato che gli emigrati politici italiani in Russia influirono sulla condotta della guerra. Cosa c’entra la Russia Sovietica, cosa c'entrano i comunisti italiani in Russia con la disfatta dell'ARMIR?
La guerra dell'ARMIR nella sacca del Don era finita. È inutile discutere su questo. Gli emigrati italiani nulla poterono fare mentre un maresciallo d'Italia di ritorno in Patria inasprì la polemica. Ma, signori, qui non è messo in ballo l'onore d'Italia, ma solo la preparazione con cui il defunto regime mandò a combattere i soldati in Russia.
L'avv. Paone ha preso l'argomento molto alla lontana. Dopo aver parlato a lungo della tradizione italiana del Risorgimento, ha toccato questioni politiche, ha sfiorato problemi filosofici, rievocato le grandi figure militari della Roma repubblicana, accennato alle condizioni italiane prima e durante il fascismo. Ha ricordato la funzione nel mondo della Russia Sovietica, ha parlato di Mussolini, di Hitler, di Franco, della Spagna falangista, della campagna razziale, del contributo dell’Unione Sovietica alla affermazione dei valori fondamentali della libertà umana (!!!). Ha affermato che gli ordinamenti politico-giuridici internazionali sono infelici ed ingiusti. Ma ciò non dispensava evidentemente il governo bolscevico dall’usare un trattamento umano verso i prigionieri di guerra.
Avv. Paone: — Qui si è tentato di fare una speculazione politica: tutto il resto non è che diffamazione o meglio calunnia. Edoardo D'Onofrio si presenta dinanzi a voi, o giudici del popolo, sotto l'usbergo della sua tranquilla coscienza, a rivendicare l’opera da lui svolta quale esule politico nei campi di concentramento sovietici a favore dei suoi connazionali prigionieri.
Due ore precise è durato il preambolo dell’oratore e ben meritato è stato il breve riposo che si è concesso prima di affrontare il vivo della questione.
Quando ha ripreso a parlare, il patrono della Parte Civile, ha detto che la guerra alla Russia non si sarebbe fatta se questi militari (e puntava un dito accusatore sugli imputati) fossero andati a raccontare a Mussolini le condizioni di impreparazione del nostro esercito, se gli fossero andati a dire che gli italiani non volevano andare a combattere contro la Russia. Ma non spiega perché non ci sia andato lui! Doveva o no, il senatore D'Onofrio sporgere querela contro i suoi diffamatori? L'oratore scioglie subito il suo dilemma affermando che quando si lede l'onore di un uomo che è stato l'apostolo della classe operaia romana, allora egli non solo ha il diritto, ma il dovere di difendersi! Chiedere che cosa D’Onofrio abbia fatto in Russia significa offendere tutti gli emigrati italiani da Nitti a Sforza. L’avv. Paone dimentica che la statura morale di costoro è però ben diversa da quella del suo patrocinato.
Ed eccoci finalmente all’esame del materiale diffamatorio.
Avv. Paone: — Le accuse rivolte al senatore comunista hanno offeso tutto il movimento della resistenza e del resto le risultanze processuali autorizzano ad affermare che le accuse non hanno trovato il benché minimo conforto della prova. S’è detto che D’Onofrio avrebbe interrogato i prigionieri mentre il magg. Orloff avrebbe messo a verbale le risposte fornite dagli interrogati. E s'è detto che il magg. Orloff appartenesse alla polizia segreta sovietica. Ma nessuna dimostrazione è stata data di ciò. I querelati sostengono questo, ma noi lo neghiamo e voi, signori giudici, dovete stabilirlo perché vi abbiamo concesso la più ampia facoltà di prova.
Il magg. Orloff aveva soggiornato in Italia prima della guerra e scriveva sul settimanale «L'Alba» quando ancora D'Onofrio non era comparso nei campi di concentramento. I suoi articoli erano tutti ispirati alla maggiore tolleranza verso gli stessi ufficiali fascisti che egli divideva in tre grandi categorie: quelli che nel fascismo avevano coltivato i loro interessi, quelli che vi avevano aderito in buona fede, e gli incerti verso i quali rivolgeva in modo particolare la sua opera di persuasione.
Quindi, mai accuse furono più false, perché, fra l'altro, il magg. Orloff, che era un semplice ufficiale di amministrazione, compiva nei campi «solo inchieste a scopo culturale».
Ormai l'avv. Paone si è addentrato nella difesa della Russia e non può fare a meno di scagionare l'Unione Sovietica anche dalla accusa di intolleranza religiosa. E lo fa sulla scorta di un libro scritto dal gen. Nobile, uno dei tanti volumi che ingombrano, a pile, il tavolo inondato di appunti dell’avvocato.
Avv. Paone: — I testimoni in questo processo hanno dichiarato che nei campi di concentramento non veniva permessa la celebrazione della messa. Hanno mentito. Il gen. Nobile, quando era ancora colonnello, scrisse pagine in cui illustrò il sentimento religioso del popolo russo. Dunque, non è vero che in Russia sia proibito il culto esterno ed è facile argomentare che se i cappellani militari italiani non celebrarono mai la messa nei campi di concentramento non fu perché fosse loro proibito, ma con il segreto scopo di poter un giorno gridare allo scandalo perché in Russia non sono concesse manifestazioni di culto esterno, e ancora, se gli imputati mentono su questa circostanza, è lecito supporre che altrettanto facciano quando dichiarano che gli italiani in Russia si mangiavano l'uno con l'altro. Perché questo masochismo nazionale unicamente per poter criticare le autorità russe?