15 giugno 1949 - Ancora una volta l'udienza è stata caratterizzata da un grosso incidente.
Davvero non peccano di monotonia le udienze di questo processo, movimentate come sono, dai continui battibecchi, tra le parti e i loro difensori, accompagnati dal rumoreggiare in sordina del pubblico sempre numeroso.
Anche l'udienza di oggi non è passata senza che un altro vero e proprio alterco sorgesse fra gli avvocati con intervento dello stesso D'Onofrio e del teste che lo aveva provocato.
S'è cominciato con Luigi Brunetti il quale ha raccontato al Tribunale come, ricoverato in un ospedale nella regione di Ivanovo, i russi gli fecero fare il bagno, gli fecero cambiare i vestiti e poi lo sistemarono in un padiglione con riscaldamento, materasso, coperte e lenzuola e ve lo fecero rimanere per sei mesi. La mortalità per il tifo petecchiale, malgrado le cure, superò in quel periodo il trenta per cento dei prigionieri. Fatta la storia delle sue peregrinazioni nei vari campi, il teste ha voluto rendere grazie ai fuorusciti per l'opera che essi svolsero in favore dei prigionieri italiani. Il Sartori, ad esempio si interessò molto presso il comando sovietico del campo numero 185 perché agli italiani fossero dati quegli incarichi che potessero rendere meno dura la prigionia per tutti. I prigionieri potevano lavorare o no a loro scelta. Quelli che lavoravano, però, avevano un supplemento di viveri di 150 grammi di pane (oltre i normali 600) e altrettanto di zuppa (oltre le tre giornaliere di 600 grammi) e quelli che erano adibiti a lavori pesanti avevano diritto ad un chilo di pane, a tre zuppe di 750 grammi e al secondo piatto. Il giorno che l'Italia dichiarò la guerra alla Germania fu distribuita anche una razione di pasta asciutta. L’emigrato Sartori diffondeva il settimanale «L'Alba» attraverso la lettura del quale il teste apprese della mutata situazione in Italia e potè modificare le proprie idee e comprendere meglio la propria situazione.
Avv. Taddei: — Allora lei si è accorto di essere prigioniero di guerra soltanto dopo aver letto «L'Alba»....
Brunetti: — Naturalmente frequentai con profitto la scuola di antifascismo nella quale si insegnava fra l'altro filosofia crociana e la storia dell'uomo....
Avv. Taddei: — Sentì mai parlare il teste di Darwin?...
Brunetti: — No, mai... Non conosco questo signore.... Alla fine del corso Sartori ci radunò per dirci che sperava d’aver fatto di noi dei veri antifascisti pronti a lottare per gli interessi del popolo italiano.
Il giuramento che si prestava alla fine dei corsi di antifascismo non era affatto obbligatorio (però tutti lo prestavano....).
È la volta dì Fidia Gambetti, ex camicia nera, poeta e fascista convinto, ma non gerarca, segretario di redazione del fascista «Popolo di Romagna», oggi redattore capo de «L'Unità», edizione milanese.
Gambetti: — Fui internato nel campo di Tamboff dove ebbi la fortuna di conoscere la signora Torre la quale mi sollevò fisicamente e spiritualmente. Le affidai anche delle cartoline perché le spedisse ai miei in Italia. Furono spedite, ma purtroppo non arrivarono mai a destinazione.
La cattura provocò in me una vera crisi di coscienza. Fascista cosi convinto da arruolarmi volontario nei battaglioni di camicie nere allo scoppio della guerra, rinunciai perfino di partecipare ai corsi allievi ufficiali per avere la possibilità di essere inviato immediatamente a combattere in prima linea sul fronte occidentale e poi su quello orientale dove fui catturato. In complesso nei campi di concentramento si stava bene. Vi furono, sì, dei morti ma i prigionieri che arrivavano già malati, preferivano cambiare il pane che veniva loro distribuito con del tabacco e così si produceva un veicolo di infezione.
Avv. Taddei: — Già, i nostri soldati preferivano fumare e morire piuttosto che mangiare e vivere....
Gambetti: — Fui contagiato e venni trasferito all'ospedale di Slavgorod dove mi trovai molto bene. Vissi anche nel Campo 58 e li scrissi alcune commedie che furono recitate dagli stessi prigionieri, durante alcuni trattenimenti artistici.
Avv. Taddei: — È vero che il teste nel 1936 vinse il premio letterario «Poeti del tempo di Mussolini»?
Gambetti: — Sì è vero. Scrissi un'ode....
Avv. Taddei:— È vero anche che il teste fu capo dell'ufficio Stampa della federazione fascista di Forlì?
Gambetti: — È falso. Fui soltanto segretario di redazione del «Popolo di Romagna».
Le domande della difesa si fanno incalzanti, pressanti, e mano a mano l'atmosfera nell'aula si va riscaldando. Un certo nervosismo serpeggia e si capisce bene che basta un nulla per far scoppiare l'incidente.
Avv. Taddei: — È vero che il teste, durante la prigionia, pubblicò a puntate, sul settimanale «L'Alba» il «Diario di una generazione sbagliata»?
Gambetti: — Questo è vero.... (visibilmente risentito).
Avv. Sotgiu: — Ma cosa c'entrano queste domande con il processo?
Avv. Taddei: — È interessante, invece, tutto ciò. Ci permette di misurare le oscillazioni del pendolo politico del teste il quale, se non sbaglio, oggi è redattore capo de «L'Unità» di Milano.
Gambetti: — Infatti, lo sono.
Avv. Taddei: — Basta così....
Avv. Sotgiu: — No. Non basta affatto. La difesa vuole speculare su questo argomento e il teste deve ora spiegare perché prima era fascista e diventò in seguito comunista.
Gambetti: — Ero convinto che il fascismo instaurasse in Italia una nuova giustizia sociale, che il fascismo portasse ad un accorciamento delle distanze, ad un trattamento migliore dei lavoratori, alla fine delle speculazioni. Per questo ero fascista. M'accorsi poi che il fascismo non aveva mantenuto le promesse fatte e allora....
P. M.: — Non ci interessa la sua biografia....
Presidente: — Si limiti ad accennare....
Gambetti: — Ma come posso accennare soltanto se i primi dubbi sboccarono in crisi di coscienza proprio per le angherie che i soldati subivano, tanto più che avevo modo di osservare da vicino quale fosse l'organizzazione sovietica?.... Eravamo addirittura obbligati ad indossare la camicia nera durante i combattimenti e il capomanipolo Taddei lo sa perfettamente.
Avv. Taddei: — Se il teste torna a chiamarmi capomanipolo io lascio l'aula. Io ho combattuto in grigio verde, buffone!
È stato il fulmine che ha fatto scoppiare il temporale.
Gambetti: (balzando in piedi) — Canaglia!
Avv. Taddei: — Buffone!
Avv. Sotgiu: — È ora di finirla. Qui non si fa che insultare i nostri testimoni. Abbiamo sopportato fino ad ora, ma adesso...
Avv. Taddei: — Sopportate ancora....
Il Sen. D'Onofrio che ha seguito, attentissimo, le fasi del violento battibecco, non resiste più e, rosso in viso, scatta in piedi come se volesse slanciarsi contro l'avv. Taddei.
D'Onofrio: — Lei è un buffone. Buffone!!
Avv. Taddei: — Lei se ne vada e si vergogni....
Avv. Paone: — ...organizzatore di false testimonianze....
Avv. Taddei: — Caro Paone, quando avrai finito di urlare, se ci riesci, mi farai il piacere di ritirare quello che hai detto
Frasi grosse, invettive, accuse personali volano da una parte all'altra dell'aula. Tutti sono in piedi: avvocati, presidente, pubblico ministero, imputati, tutti gridano, tutti sono paonazzi in volto. Vediamo il capitano dei carabinieri, che regola il servizio d'ordine, dare brevi ordini ai suoi uomini i quali si preparano ad intervenire nel caso deprecato che le cose si mettessero al peggio. Ma finalmente un più energico intervento del Presidente pone, fine all'alterco e piano piano tutto ritorna calmo mentre il mormorio del pubblico si va smorzando lentamente, come il rumore del temporale che s’allontana.
P. M.: — Il Tribunale non ha sentito l’ultima accusa lanciata dall'avv. Paone all'avv. Taddei.
Avv. Taddei: — Meglio cosi. Tanto la verità non ha bisogno di essere organizzata.
Placati gli animi l'udienza riprende con le deposizioni degli ex sottotenenti Luigi Sandirocco e Mario Gonnelli i quali naturalmente riferiscono su circostanze già note, elogiano il comportamento dei fuorusciti, assicurano che il giuramento, nelle scuole antifasciste, che entrambi frequentarono, non era obbligatorio e impegnava soltanto alla fedeltà alla causa del popolo italiano.